Informazioni personali

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La pargoletta è arrivata nel giorno della liberazione dell'ultimo anno del calendario Maya... ed eccomi a 41 anni con un frugoletto tra le braccia quasi tutto il giorno, tranne quando cambio pannolini, faccio bagnetti e qualche anima buona me la rapisce per coccolarla. Un'amore di bambina...ma anche un'impegno 24 ore su 24 che cambia "un po'" la vita. Poiché sotto la mamma c'è una donna quarantenne nella vita precedente lavoratrice con tanti interessi, esploratrice di se stessa e alla perenne ricerca di quel qualcosa che "mi fa stare bene", l'adattamento ai nuovi ritmi non è facile. Da qui l'idea del blog, un po' sfogo terapeutico un po' desiderio di condivisione con chi di voi vive/viveva/vivrà un'esperienza simile. Tra una pappa e una nanna....e ringraziando le apine sulla culla.

mercoledì 8 agosto 2012

Grida improvvise

Nicky da qualche giorno ha imparato a gridare. Inizialmente pensavo fosse per l'eccitazione che ha provato nel vedere Liam, un bimbo di cinque anni, giocare vivacemente in piscina. Adorava vederlo mentre si tuffava, si spostava, correva, lanciava i peluches giù dalle scale. Le grida erano accompagnate da risate e tensione del corpo.
Ciò è successo qualche giorno fa durante una vacanzina dai miei in campagna, tanto che il papà non si capacitava del mutamento della sua dolce bimba che al massimo fino a quel giorno aveva emesso qualche suono gutturale e timidi versetti. "Vi lascio sole qualche giorno e mi riporti una selvaggia!!!" aveva commentato.
Tuttavia ora queste grida si ripetono anche la sera, all'ultima poppata, o prima di dormire. Sicuramente sta cercando di comunicarci qualcosa, ma cosa? Mamme e papà in ascolto help! Forse qualcuno di voi sa di cosa si tratta?

martedì 7 agosto 2012

Qualcuno mi capisce

Non posso non pubblicare questa mail mandatami da una mia amica in seguito al mio ultimo post. Rispetto il suo desiderio di rimanere anonima, ma non posso non pubblicarla perché è stata una chiave di volta nella mia parabola discendente della scorsa settimana e questo dimostra che la sintonia con una persona che ti comprende perfettamente è la migliore delle medicine.

"Ti capisco …non smettere di scrivere perché il tuo “urlo nel silenzio” è la voce di tutte le mamme che fanno fatica, ma non possono dirlo perché non è socialmente accettato questo pensiero. Io ti capisco non sai quanto!
Ho una buona notizia: Tutto questo finirà e non ne sentirai la mancanza….mi spiace contraddire Raffaele, ma è esattamente così!
L’amore infinito per i figli c’è e ci sarà sempre, ma la fatica dei primi mesi è pazzesca! Quando finalmente biberon, pappette e pannolini non saranno più dotazione necessaria tutto sarà più facile.
Altra buona notizia: tutti dicono “bambini piccoli problemi piccoli, bambini grandi problemi grandi!” …. Dalla mia esperienza ”bambini piccoli problemi piccoli bambini grandi….risate, racconti, felicità, letture insieme, musei e opinioni da condividere….quindi!!!!! nessun problema e tanta tanta tanta ALLEGRIA”.  
Grazie veramente! E sappi che hai interrotto il mio periodo depressivo e per me sono iniziate passeggiate, bagni in mare, uscite la sera (con bimba a seguito, ma con maggiore leggerezza e allegria).

 

lunedì 30 luglio 2012

Qualcuno non mi capirà

Alcuni giorni fa una mia amica mi ha manifestato la sua delusione per aver notato che, negli ultimi tempi, non stavo più aggiornando il mio blog. Sosteneva che, in questi giorni di lavoro poco gratificante, i minuti in cui leggeva i miei post la mattina, dopo aver acceso il pc, costituivano uno dei pochi momenti piacevoli della sua giornata in ufficio. “I tuoi racconti mi ricordano me stessa dieci anni fa, le stesse paure, le stesse fatiche”. Ammetto che il dispiacere per averla delusa a causa della mia scarsa costanza nello scrivere è compensato dalla consapevolezza che i miei pensieri rappresentano un momento di letizia per qualcuno. Il mio ego ringrazia e trova nuovo slancio per ritornare a dare voce ai miei pensieri. Si tratta di pensieri un po’ cupi, a dire il vero, quindi mi scuso sin d’ora con la mia amica perché forse non le rallegrerò la mattinata, ma in questi giorni mi sento poco ispirata e anche un po’ depressa (badate bene, non sono depressa). Non nascondo che questo stato d’animo è in parte dovuto alla “mammaggine”. Superati i tre mesi dal parto, la pargoletta dà maggiori soddisfazioni in termini di interazione, cominciano ad apparire i sorrisetti e si comincia a capire anche che cosa la fa stare bene. In particolare, chissà per quale recondito motivo, ho scoperto che la diverte molto fissare il forno in cucina. Non ho ancora capito che particolare del forno susciti il suo piacere. A tratti penso che sia la luce verde dell’orologio elettronico, altre volte sembra attirata dai riflessi sulla porta metallica. Tuttavia, al cambio di forno (bianco e senza orologio elettronico) la reazione è la stessa, tanto che sono iniziate le scommesse in famiglia su una sua promettente carriera da chef o panettiera. Chiaramente il momento estatico davanti al forno è stato prontamente documentato dal fiero padre che al momento opportuno (tra vent’anni) estrarrà il video ricordo e potrà dire “c’erano già i primi segnali quando avevi tre mesi!”.
Se da una parte c’è una maggiore soddisfazione nel rapporto madre-figlia, dall’altra, tuttavia,  non mancano motivi per cui vengo spesso assalita da un malessere diffuso e quindi da scarsa ispirazione.  Lo stato di mamma, infatti, comporta una buona dose di routine e, conseguentemente, di noia. Sì, ho detto proprio “noia”, conscia che qualcuno tra i lettori forse non capirà, visto che stringo tra le braccia tutto il giorno la più meravigliosa delle creature, un regalo divino, una gioia infinita. Sono altresì consapevole che questa mia affermazione farebbe rabbrividire mia mamma (se mi leggesse), per la quale "i figli sono tutto". Ma sono certa di poter contare sulla comprensione dell’amica di cui sopra, più simile a me sotto certi aspetti. Le giornate di questa meravigliosa estate stanno passando più o meno barricate in casa. Questo perché fuori fa troppo caldo, il sole scotta la sua tenera pelle, l’acqua del mare è troppo inquinata, le zanzare sono assatanate, ecc. ecc. Insomma, ci sono mille scuse per iniziare e finire la giornata più o meno sempre dentro le stesse mura, ripetendo molteplici volte le stesse azioni e finendo inevitabilmente per sentirmi una specie di pachiderma obbligato a camminare tutto il giorno per casa senza un vero scopo se non quello di tenere lontano pianti e strilli. Lo so che qualcuno dirà “Ma se è la bimba più buona del mondo!!!! Dorme tutta la notte!”. Vero, ma di giorno, come è normale che sia, ha dei bisogni e cerca stimoli che spesso fatico a capire. Ultimamente le piace vedere la sua immagine riflessa nello specchio del mio guardaroba. Peccato che così la mamma veda anche se stessa, il pigiama che non si è mai tolta, la ritenzione idrica sulle cosce ipertrofiche, i capelli sfatti e il giro vita che ha preso il largo (gulp!). Le volte in cui raccolgo tutte le forze per uscire devo comunque cercare di non lasciarmi scoraggiare dalla quantità di oggetti che devo preparare e portare con me, prevedendo di stare fuori per la durata di almeno due poppate: biberon sterilizzati, latte (negli opportuni contenitori, ma anche un po’ a parte, non si sa mai), acqua calda e acqua fredda (che se non c’è acqua corrente nel posto in cui vado come faccio a raffreddare il latte?), tisana al finocchietto (per eventuali coliche), bavaglini, ciuccio n.1 e ciuccio n.2 (perché il n.1 in genere finisce a terra), ombrellino per il sole, passeggino da passeggio o da trekking,  apine da appendere in macchina per distrarla durante il viaggio, lenzuolino leggero, ma anche copertina nel caso in si alzi il vento (“che la bimba è sudata e può pigliarsi un raffreddore che, si sa, sta poco a trasformarsi in una broncopolmonite”), cuffietta anti sole, ma anche calzettini  (perché spesso ha i piedi freddi), e, perché no, a questo punto anche il vaporizzatore per il viso, così la rinfresco con acqua termale se fa troppo caldo. Aaahh, non possono mancare gli indispensabili pannolini e salviettine umidificate (quelle grandi, che quelle piccole finiscono per sporcare le mani). E non dimenticare di portare il carica cellulare da macchina (che se si scarica il cellulare, cosa fai?). Non scordare qualche soldo per il parcheggio, possibilmente infilato nella tasca laterale della borsa della bimba che così è facilmente raggiungibile.
E pensare che fino a un anno fa nella mia borsa potevo permettermi (felicemente) di avere un sacco di oggetti inutili, tra cui due o tre lucidalabbra, un mascara, un rimasuglio di fard, post-it a non finire, tutte le carte fedeltà dei negozi anche fuori città e, a volte, anche un paio di infradito.  Ora non ho più nemmeno la borsa.

martedì 17 luglio 2012

battesimo pagano



Lo scorso venerdì abbiamo portato la bimba in piscina per la terza lezione di acquaticità dove avrebbe sperimentato per la prima volta l’apnea. Pare che ai bambini riesca molto semplice e gradevole, in quanto l’acqua è stato il loro elemento per ben nove mesi. L’unico accorgimento è quello di soffiare sul loro viso  prima di immergerli, in modo che loro  chiudano la glottide e quindi, una volta inzuppati come un biscotto nel caffellatte, non bevano. Nonostante avessi visto altri bambini uscire indenni (alcuni anche sorridenti) da questo simpatico esercizio, erano giorni che vivevo con angoscia pensando al fatidico venerdì in cui anche la mia piccolissima bimbetta avrebbe provato quest’eccitante avventura.  Ma eccitante per chi?!?  Per il papà che l’avrebbe immersa sott’acqua o per l’ostetrica che sarebbe stata pronta ad intervenire in caso qualcosa fosse andato storto? Per lei, ignara di quello a cui sarebbe andata incontro? Non certo per me che, nel corso dell’ultima settimana, avevo trovato mille motivi per rimandare questo momento che mi pareva alquanto traumatico per una bimba di 2 mesi: era la più piccola del corso, l’acqua della piscina era troppo fredda,  gli esercizi in acqua la stancavano troppo, aveva appena fatto sette vaccini, era debole, come diavolo faceva a sapere che doveva chiudere la glottide?
Arrivato il gran giorno, io ho cercato di tenere per me la mia ansia, preparandole silenziosamente la borsa con asciugamani e accappatoio. Le ho parlato lungo tutto il viaggio verso la piscina, come faccio sempre, distraendola con apine e giocattolini vari. L’intento era quello di fare in modo che per lei fosse un normale viaggio in macchina con mamma e papà. In verità mi sentivo come colei che accompagnava il condannato a morte alla ghigliottina. Un po’ boia,  un po’ traditrice della buona fede che quella pargoletta tutta sorrisi e versetti riponeva nella propria brava mamma.  E’ proprio vero che è impossibile nascondere le proprie emozioni ai bambini, o per lo meno alla mia. Una volta arrivata in piscina, Nicole non voleva svestirsi, cosa che generalmente fa volentieri, ha pianto entrando in acqua e ha cominciato a tremare di freddo prima dei soliti 20 minuti in acqua. Le premesse non erano buone. Io ho continuato a fingere che fosse tutto normale ma dentro di me l’ansia del fatidico momento aumentava.  Infine ho deciso di fare lo struzzo (mettendo la testa fuori dalla piscina) e guardando altrove quando il papà coraggiosamente immergeva la pischella sott’acqua. Il pianto che è giunto alle mie orecchie subito dopo, quello però l’ho sentito, nonostante il rumore che i bimbi facevano andando su e giù in acqua, e il cuore di mamma a quel punto non ha potuto non sentirsi trafitto sapendo che la sua tenera frugoletta era stata appena battezzata con quel barbaro rito pagano.  Chissà, forse la mia ansia nascondeva anche il ricordo poco piacevole dei molteplici corsi di nuoto che ero stata obbligata a seguire da piccola (perché avrebbero eliminato la mia scoliosi – cosa che non si avverò) con relativa sopportazione degli istruttori dai modi militareschi, dell’acqua gelida, del cloro che mi irritava la gola.  Difficile scindere in me l’ansia della mamma da quella della figlia. Per fortuna che a fine corso c’era sempre la cioccolata calda a consolarmi …

giovedì 5 luglio 2012

L'allattamento

L'allattamento è stata la principale fonte di preoccupazione durante tutto il primo mese di vita della bimba. Non penso di essere speciale in questo. Lo è per molte mamme. Non è raro sentire le donne che si lamentano di ragadi, mastiti, continue levatacce notturne, seni dolenti, ecc. ecc. Io però, non ho potuto lamentarmi di tutto questo, anzi, per certi versi, a tratti, avrei voluto. Per nove mesi ho sentito ripetere  che non c'è nulla di meglio dell'allattamento al seno materno, il quale fornisce un sacco di sostanze e anticorpi al bambino, nonché tutto l'affetto necessario a cementare l'attaccamento del neonato alla madre. Ostetriche ed esperti non facevano che ripetere di non ricorrere al biberon per evitare che il bimbo si accorgesse che la suzione è più facile rispetto a quella al seno. Chiaramente dopo tutto questo battage pro-allattamento naturale e dopo aver provato in ogni modo ad allattare al seno, sono stata assalita da un complesso di inferiorità (per non essere capace di fare una cosa naturale per ogni madre), nonché da un forte senso di colpa (per non poter trasmettere anticorpi e sostanze preziose a mia figlia), quando sono ricorsa al biberon per nutrire mia figlia che stava visibilmente perdendo peso.  Vi assicuro che vedere il 99% delle donne offrire il seno ai neonati piangenti notando come questo li calmasse immediatamente, mentre la propria bimba strattonava il capezzolo cominciando a piangere perché usciva poco o nulla, non mi ha certo aiutato nel primo periodo di vita di mia figlia. Conscia del valore dell'allattamento al seno, non ho certo gettato la spugna facilmente: ho attaccato il tiralatte varie volte al giorno, come consigliatomi dalle ostetriche; ho bevuto acqua e tisana alla Galega in abbondanza; ho preso anche una medicina omeopatica che avrebbe dovuto stimolare la montata lattea; ho attaccato mia figlia al seno tutte le volte che voleva mangiare (e lei ne era felice per i primi tre minuti, salvo poi iniziare a piangere).  Mentre le altre donne si lamentavano del dolore che provavano e di magliette bagnate, io attendevo speranzosa che arrivasse questa fatidica montata. Dopo qualche pianto solitario per l'attesa vana e i continui insuccessi, ho deciso di darmi un'altra chance, andando ad una riunione de "La Leche League", i maggiori "sponsor" dell'allattamento materno, dove ho ricevuto preziosi consigli su come attaccare la bimba in modo corretto. Ho messo in atto tutti i consigli, ma senza successo. Non volendo darmi per vinta, ho provato anche ad utilizzare un aggeggio di plastica che avrebbe dovuto stimolare la meccanica della suzione al seno, pur fornendo latte artificiale al bimbo. All'ennesimo tentativo a vuoto, ho desistito. Era diventata una lotta contro me stessa. Non è stato facile rinunciare, ma me ne sono fatta una ragione vedendo mia figlia soddisfatta durante la poppata e ora addirittura capire che quella bottiglietta bianca significa goduria e felicità.
Paradossalmente, a consolarmi ulteriormente è venuto il mitico dottor Spock (Benjamin) che nella sua "bibbia di tutte le madri" del lontano 1976, pur essendo un sostenitore dell'allattamento al seno in un periodo in cui era in gran voga quello artificiale, afferma: "Le mamme che leggono ciò che dicono psicologi e psichiatri sull'importanza dell'allattamento al seno, talvolta si mettono in testa che i bambini allattati artificialmente finiscono con l'essere meno felici di quelli nutriti al seno. Nessuno ha potuto dimostrarlo. Ci sono mille modi per dimostrare il proprio affetto al figlio e dargli sicurezza. L'allattamento al seno è uno di questi ma non è essenziale. E' bene ricordare che l'aver latte o non averlo dipende esclusivamente dalla secrezione ghiandolare, e la madre su questo non ha alcuna possibilità di influire; perciò, se non può allattare, non deve avere alcun senso di colpa, né la sensazione di amare poco il bambino. " Grazie dott. Spock!

martedì 3 luglio 2012

la funzione del padre

I papà di oggi mi sembrano stupendi, quasi irreali. Al mio corso pre-parto erano sempre presenti, a volte arrivavano più puntuali delle mogli e facevano molte domande alle ostetriche incuriosite. Mi ricordo che durante l'incontro con la psicologa in consultorio, dopo che lei aveva parlato delle difficoltà e del comportamento tipo del maschio nella coppia alla nascita di un bambino, uno di essi l'aveva apostrofata dicendole: "Ma, le donne, che idea hanno del maschio che diventa padre? Mi pare che sia alquanto sbagliata".  Mi sento di dargli ragione. In ospedale quasi tutti ormai scelgono di stare accanto alla compagna durante il parto. Il mio, stoico, ha resistito in piedi per svariate ore, nonostante il consiglio dell'ostetrica di sedersi (aveva paura che potesse piombarmi addosso svenendo). Non so se io avrei saputo fare lo stesso, fossi stata al suo posto. In piscina, ai corsi di acquaticità, ci sono più papà che mamme dentro l'acqua con i pargoletti. Forse perché si divertono un mondo, ma meglio così no? Sono teneri con i loro cuccioli. Ne ho visti svariati non battere ciglio al cambio del pannolino (nel mio caso, questo è stato uno step successivo, intrapreso quasi con sprezzo del pericolo). Una mamma al consultorio mi ha detto che suo marito si diletta a scegliere i completini da mettere alla bimba quando escono (fosse per lei, uno vale l'altro). Insomma, mi sembra che non ci si possa lamentare.
Pochi minuti fa ho riletto alcuni passi della mitica opera del dottor Benjamin Spock "Il Bambino" - sottotitolo "la bibbia di tutte le madri" - edito da Longanesi nel 1973 (costo 600 Lire), di cui vorrei riportare alcuni versi proprio riguardanti la funzione del padre: "Gli uomini reagiscono alla gravidanza della moglie coi sentimenti più vari: senso di protezione verso di lei, orgoglio per essere sposato e per la propria virilità (cosa di cui gli uomini si preoccupano sempre un po'), anticipazione gioiosa per la nascita del bambino. Ma può esserci anche la sensazione di essere messo da parte (...) sensazione che può manifestarsi con malumore verso la moglie, desiderio di star fuori con gli amici o interesse per altre donne (...). E' facile che il padre si senta particolarmente solo quando la moglie è all'ospedale per il primo bambino. Là vi sono dozzine di persone che si prendono cura di lei, e quindi non ha proprio nulla da fare, tranne il suo lavoro. ASPETTA IN SALA D'ATTESA, SFOGLIANDO VECCHIE RIVISTE E CHIEDENDOSI COME VA IL PARTO, OPPURE SE NE TORNA A CASA SOLO SOLETTO. NON E' DA MERAVIGLIARSI SE VA AL BAR A BERE IN COMPAGNIA. QUALCUNO GLI PRESTA ATTENZIONE, MA DI SOLITO E' PRESO IN GIRO BENEVOLMENTE (...) E' naturale quindi che si senta meno importante del solito e abbandonato da tutti. "
Padri e madri in ascolto, io non ho avuto quest'impressione in base alla mia esperienza (e di ciò sono felice), e voi?

lunedì 2 luglio 2012

Il cervello umano

Una delle preoccupazioni che mi assilla maggiormente in questi giorni riguada la "normalità" delle funzioni cerebrali di un neonato. A due mesi dalla nascita ho notato notevoli evoluzioni relativamente ai sensi della vista (ora vede anche l'ape gialla, oltre alla verde e alla rossa) e dell'udito (all'inizio dormiva anche con il martello pneumatico in funzione al piano di sotto, ora non si addormenta se la tv è accesa in sottofondo). Ci facciamo anche lunghi "discorsi" io e lei, soprattutto la mattina, appena sveglie: Nicole adora i suoni gutturali e qualche vocale un po' acuta, in cui anche io mi cimento sperando che non ci sia nessuno nell'arco di un chilometro a vedermi gorgheggiare come una deficiente. E' piuttosto vispa a livello motorio, anzi le premesse lasciano intravedere faticose rincorse da parte della genitrice ed estenuanti giochi ripetitivi con ogni sorta di oggetto. Tuttavia non posso non chiedermi se le sue funzioni cerebrali si stiano sviluppando nel modo giusto e se nella sua scatolina cranica, ancora fragile e malleabile, tutto funzioni perfettamente. Nel mio vagabondare tra libri e siti sul tema sono incappata in un interessante saggio che afferma che lo sviluppo del cervello avviene durante la gravidanza (a patto che la genitrice non ecceda in alcol e droghe) e che, dopo il parto, il suo processo di crescita continua per alcuni anni. Pare che le cellule cerebrali del feto nello stadio intrauterino crescano e si moltiplichino fino a 200.000 e che, a partire dalla nascita, il numero di queste cellule sia il massimo di cui disporremo per il resto della vita. In pratica poi non possono che diminuire. Sembra però che il fatto che il numero di neuroni non aumenti non significhi che noi non possiamo migliorare la nostra capacità mentale. Infatti, a ogni processo di pensiero i neuroni si connettono tra loro creando delle sinapsi; pertanto, più usiamo il cervello, più aumentiamo il numero e la qualità delle interconnessioni e quindi la nostra capacità mentale.
Alla nascita queste connessioni non ci sono ancora, entrano in funzione ogni volta che il bimbo interagisce con l'ambiente.  Questo significa che io ho la possibilità di aumentare la capacità cerebrale della mia bimba semplicemente offrendole una gamma più ampia possibile di stimoli che gli permettano di attivare le sinapsi. Detto fatto. Ho già iniziato a sottoporla a docce di trilinguismo (scusate, ma il background mi condiziona), la zia le legge l'Economist (che per ora le serve da sonnifero) e la nonna le fa lunghi racconti in italiano impeccabile facendo chilometri di passeggiate in casa per calmarla. Nicole dovrebbe diventare un genio.... chissà... Per ora preferisce fare tanti bei versetti gutturali sbavando e sorridendo mentre se ne sta nuda sul fasciatoio finalmente libera dal giogo del pannolino.